Troppo spesso si ritiene che il conflitto sia un fattore di disturbo dell’attività lavorativa, la cui gestione comporta dispendio di risorse sia di tempo che emozionali.
Talvolta è così, ma non sempre
Troppo spesso si ritiene che il conflitto sia sempre e comunque un fattore di disturbo dell’attività lavorativa, la cui gestione comporta dispendio di risorse, sia temporali che emozionali, a motivo del coinvolgimento profondo che ne consegue.
Talvolta è così, ma non sempre.
Partiamo dalla considerazione che il confronto, con relativo contraddittorio, è parte integrante dell’attività del manager, conseguenza dello scambio continuo sui più svariati temi di business che ci si trova ad affrontare.
Questo confronto ha due assi: verticale, verso i propri collaboratori o i superiori gerarchici, oppure orizzontale verso i pari livello.
Nel primo caso, evitare che il contraddittorio si tramuti in conflitto può sembrare più semplice: il fattore gerarchico può qui funzionare come prevenzione di ultima istanza del conflitto, facendo valere il potere decisionale dato dalla gerarchia. Non che questo non abbia controindicazioni: spesso, infatti, ricorrere al proprio potere sopisce il dialogo e la motivazione di chi subisce la decisione.
Nel secondo caso, quando il fattore gerarchico non ha incidenza, il rischio di degrado in conflitto è più forte. La questione talvolta esce dai binari stretti della valutazione di convenienza per il business ed entra in territori “irrazionali”, dove subentrano fattori come ad esempio emotività, arroganza, intolleranza, egoismo… insomma, si difende il classico “orticello”.
La discussione può impantanarsi in questioni di principio, o ancora peggio di sensazioni ed illazioni, dove stabilire chi ha ragione diventa opinabile e del tutto soggettivo.
Va aggiunto che ci sono persone maggiormente predisposte di altre al conflitto, per motivi caratteriali o di vissuto personale: sembra che queste persone cerchino addirittura lo scontro, senza soffrirne in alcun modo ma anzi vivendolo come scarica di energia.
Sono ovviamente le persone più difficili da gestire, perché un atteggiamento rigido verso di loro può far rapidamente precipitare il confronto, mentre un atteggiamento accomodante può dare alla controparte l’idea di debolezza, di cui approfittare.
Che fare allora?
Il primo assunto da tenere in considerazione è che, lo si voglia o meno, il conflitto è inevitabile nell'attività lavorativa. Non si può immaginare cioè di eliminarlo completamente.
Una situazione “pacificata” forzatamente, in cui il conflitto è represso, mortifica anche il semplice scambio, il potenziale di dialogo, la motivazione chi ha qualcosa da dire ma non si espone più.
Secondo assunto: il confronto tra opinioni differenti o addirittura divergenti, se ben gestito, può far progredire ed innovare. Anche il conflitto, mantenuto su binari controllati, può allora divenire proficuo.
Ecco alcuni comportamenti che possono aiutare a rendere “sano” il contraddittorio:
- ascoltare attentamente il proprio interlocutore: la ragione del conflitto è spesso altrove e non nella questione in oggetto, e capirlo può essere d’aiuto per superare eventuali impasse
- mostrare disponibilità ed aprire la mente a soluzioni che non avevamo considerato: spesso schemi mentali abituali sono un blocco al progresso
- cercare un terreno comune alle due posizioni, su cui partire, prendendo il buono di entrambe, e da lì partire per evolvere
- attenersi ai fatti e non alle sensazioni, evitando pregiudizi o questioni di puro principio
- lasciare da parte conflitti passati e soffermarsi sulla pura questione in oggetto
- mostrarsi cooperativi e orientati ad una soluzione condivisa.
Anche le difficoltà ben gestite si tramutano allora in opportunità.